lunedì 8 gennaio 2018

Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Giustizia personale e giustizia sociale



La figlia di Mildred, madre divorziata residente a Ebbing, Missouri, viene violentata e uccisa. Frustrata dalla mancanza di progressi nelle indagini, Mildred acquista per un anno tre grandi spazi pubblicitari con i quali denuncia l'inefficienza della polizia locale, e in particolare dello sceriffo Willoughby. Nonostante l'ostilità di molti suoi concittadini, in primis il sergente Dixon, Mildred persiste nella sua battaglia per la verità.

Martin McDonagh è un nome che dirà poco ai più, nonostante abbia già girato un film di culto come In Bruges. Il suo tocco e la sua visione sono, tuttavia, inconfondibili, soprattutto per la capacità di muoversi al confine tra farsa e tragedia senza però premere fino in fondo sul pedale del grottesco come fanno ad esempio i fratelli Coen. La sua visione del mondo è cupa, ma non disperata; assurda, ma non surreale. McDonagh è, prima di tutto, uno scrittore fantastico, soprattutto nei dialoghi, ma possiede anche una grande sensibilità per la messa in scena che spesso manca agli sceneggiatori che si improvvisano registi.

Non stupisce, dunque, che Tre manifesti, il suo terzo film da regista, sia uno dei migliori film visti quest'anno: un capolavoro di ritmo, recitazione e, soprattutto, regia, in cui ogni elemento si incastra alla perfezione nel creare un film che intrattiene e fa riflettere, raccontando una storia appassionante e, allo stesso tempo, fornendo un ritratto convincente e non moraleggiante dell'America che ha eletto Trump. Tra una risata e l'altra, McDonagh sferra pugni violenti che ci riportano alla realtà di una società martoriata, il cui tessuto sociale è stato lacerato in modo tanto profondo che sembra quasi impossibile ripararlo. Alla ricerca di giustizia personale di Mildred si accompagna un'evidente assenza di giustizia sociale, che tocca in modo evidente tutti i personaggi. L'alternanza tra risata e riflessione è continua, e tiene lo spettatore incollato alla sedia, incapace di prevedere cosa succederà.

I dialoghi sono perfetti, fulminanti e al tempo stesso profondi, e sono messi in bocca a personaggi veri, ben definiti e costruiti, dal primo all'ultimo, a partire dalla splendida protagonista. Mildred è una donna sola, ruvida, con un'ironia icastica e politicamente scorretta; la vita le ha tolto tutto, tranne la sua dignità e una feroce, incrollabile determinazione ad avere giustizia. Non è l'odio a guidarla, ma l'insoddisfazione, l'incapacità di accettare mezze misure, compromessi, risultati approssimativi. Il suo contraltare è Dixon, un cialtrone qualunquista guidato da un odio talmente radicato in lui da non conoscerne nemmeno le origini. Si sente costantemente minacciato da tutto ciò che è diverso da lui, e non sembra conoscere reazione migliore che la violenza. A metà tra loro sta lo sceriffo Willoughby, un buon padre di famiglia che però non condanna fino in fondo i comportamenti scorretti e pericolosi dei suoi uomini, Dixon in primis; un uomo fatto di contraddizioni, che rappresenta al meglio un paese diviso come l'America di oggi, in cui persino la verità è relativa e non esistono risposte definite.
"Decideremo quando arriveremo lì", dice uno dei personaggi in un momento chiave del film, e questa frase è quasi un manifesto nazionale (e non solo): si naviga a vista, e solo il tempo potrà dirci se la direzione presa è quella giusta.

McDonagh accompagna la sua perfetta sceneggiatura con una fotografia evocativa, fatta di alternanze tra primi piani e campi lunghi che sottolineano la solitudine dei personaggi e, al tempo stesso, la loro estrema vicinanza, il loro collegamento per tramite di quel paese di cui tutti fanno parte, e di cui stanno lentamente martoriando il tessuto sociale.
L'intero cast offre una prova superlativa, da una Frances McDormand alla migliore interpretazione della sua (fantastica, e troppo spesso sottovalutata) carriera - qualcuno le offra la parte principale in un action movie stile Io ti troverò, subito - a un Sam Rockwell poliedrico nel ruolo del farsesco villain Dixon, fino a un Woody Harrelson perfetto per understatement e compassatezza e un Peter Dinklage saggio e autoironico nella sua breve ma intensa parte.

3 manifesti è un film profondamente attuale, che racconta una storia tragica con tocco ironico, ma senza perderne di vista le implicazioni drammatiche e sociali. Un film scritto, girato e interpretato alla perfezione, che si candida a essere una delle sorprese positive sia della nostra stagione cinematografica, sia della stagione dei premi (in cui si è già aggiudicato quattro meritatissimi Golden Globes). Non perdetelo.

*****

Pier

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