martedì 23 gennaio 2018

The greatest showman (In pillole #13)

Quel pizzico di follia


New York, inizio Ottocento. Phineas Taylor Barnum è il figlio di un sarto, ma ha grandi ambizioni per il futuro. Nemmeno la morte del padre e la conseguente povertà bastano a dissuaderlo, e grazie al suo ingegno riuscirà a farsi strada e a conquistare il suo amore d'infanzia, Charity, nonostante l'opposizione della famiglia di lei. L'ambizione di Barnum, tuttavia, è senza freni, e lo porterà a realizzare progetti sempre più visionari e innovativi: prima un Museo delle stranezze, e poi un vero e proprio circo, il primo del suo genere, con donne barbute, giganti, nani vestiti da Napoleone e gemelli siamesi. Nonostante il suo successo, tuttavia, Barnum è tormentato dal fatto di non riuscire a ottenere ciò che più desidera: il rispetto dell'alta società.

The greatest showman si apre con note e atmosfere che lasciano presagire un film dai toni baz luhrmanniani, con quel mix di provocazione, magia e sincero desiderio di stupire che caratterizza i film del regista australiano come Moulin Rouge. L'illusione, purtroppo, si esaurisce presto: nonostante la materia si presti perfettamente a un trattamento coraggioso e visionario, il regista Michael Gracey confina la creatività nel campo musicale e dirige un film onesto ma con pochi guizzi visivi, in cui spiccano solo un paio di coreografie molto ben riuscite (su tutte quella che accompagna la canzone Rewrite the Stars).
Anche la trama non offre alcun guizzo, e rivisita la vita di Barnum in modo superficiale, rinunciando a indagarne le complessità in favore di un'attenzione forse eccessiva sulla sua vita privata e sulle sue ambizioni.

Quello che manca in originalità il film lo ripaga però a livello di impatto emotivo: nonostante spesso sconfini nello smielato, alcune scene, come la prima esibizione dell'usignolo svedese, Jenny Lind, sono emotivamente toccanti e non lasciano indifferenti. A questo contribuiscono le buone prove d'attore, con uno Hugh Jackman contagioso nella sua energia e nel suo ottimismo, una Rebecca Ferguson carismatica nei panni di Jenny Lind, e un cast corale che ci regala un meraviglioso gruppo di freaks, segnati dalla vita ma indomiti nella loro volontà di conquistarsi un posto nel mondo.

Ciò che realmente eleva il film, portandolo dall'essere un film mediocre a uno spettacolo comunque interessante, sono però le musiche: creative, originali, meravigliosamente anacronistiche. Benji Pasek e Justin Paul, reduci dal successo di La La Land (loro era la canzone più celebre del film, City of Stars, vincitrice di un premio Oscar) realizzano una colonna sonora perfettamente equilibrata, senza un singolo punto debole, in cui ogni canzone riesce a regalare emozioni e a fissarsi nella testa dello spettatore, portandolo a canticchiarla fino allo sfininimento.

The greatest showman risulta quindi essere un film discreto, che non fa però onore al suo protagonista, preferendo la strada sicura del romanticismo a quella più coraggiosa del ritratto sociale e della visionarietà. Rimane quindi il rammarico per lo scarso coraggio dimostrato nell'affrontare una materia che, con un pizzico di follia in più, avrebbe potuto portare a un film davvero interessante e originale.

***

Pier



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